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LE MISTERIOSE ORIGINI DI UNA TRADIZIONE TUTTA AQUILANA

di Alessandro Orsini

Ogni anno, il 21 gennaio, all’Aquila, e solo all’Aquila, la ricorrenza di Sant’Agnese coincide con la festa delle malelingue. Serata di pettegolezzi, quindi, tutti funzionali all’elezione delle varie cariche. Una festa tutta aquilana sulla cui nascita, sia da punto di vista temporale che da quello dei motivi che la originarono, ci sono poche certezze.

Cominciamo dalla dedica, cioè dal nome delle Santa che regge, per cosi dire, la festa, la celebrazione. Sant’Agnese era una giovinetta per niente linguacciuta, che fu martirizzata sotto Diocleziano quando aveva 13 anni. La sua storia parla di un netto rifiuto opposto a un prefetto romano che voleva portarsela a letto; da qui la condanna a prostituirsi, affibbiatale dalla giustizia di Roma. La pena, però, non la scontò perché un angelo la protesse durante la sua permanenza nel postribolo dove avrebbe dovuto concedere il suo corpo a tutti. Restò, insomma, vergine. Questo le costò la condanna a morte sul rogo. Solo che durante l’esecuzione le fiamme del rogo non lambirono il suo corpo ma investirono i carnefici; uno di questi, però, restò vivo e riuscì a decapitarla.

Come si vede, la vita di Sant’Agnese non ha alcun legame con il pettegolezzo e la maldicenza. Solo che all’Aquila, a Sant’Agnese era dedicato un convento, intorno alla cui parte antica è nato il vecchio ospedale San Salvatore e la cui chiesa è la cappella di quel nosocomio. Anticamente tale convento ospitava quelle che I’Antinori, storico aquilano, chiama le persone della “povera vita” , cioè le “pentite o mal maritate”, insomma le prostitute. E lì, nel chiuso del convento, queste donne che ne vedevano e sentivano di cotte e di crude, avevano tutto il tempo di parlare male degli uomini che avevano incontrato, esportando poi i pettegolezzi, che sicuramente riguardavano anche uomini della città, nelle bettole che frequentavano.

Tra loro, ma qui siamo nel campo delle ipotesi, crearono una sorta di gerarchia in base alla capacità di spettegolare; una gerarchia a cui potrebbe aver preso l’eredità quella che si istituisce ogni anno con tanto di votazioni e che andremo stasera a ripetere. II giornalista e storico aquilano Amedeo Esposito ricorda che tra gli anni ‘30 e ‘40, il prevosto, il parroco di San Pietro a Coppito chiudeva la chiesa il 21 gennaio “perché - dice Esposito - non vi entrassero le ospiti delle case chiuse di via Coppito e via della Mezzaluna”.

Ospiti devotissime a Sant’Agnese, aggiungiamo noi, probabilmente per la gratitudine che doveva essersi tramandata tra loro nei confronti delle monache del convento di Sant’Agnese. Potrebbe essere questa la “genesi” della festa. Una festa, quindi, tutta femminile, come ha rilevato opportunamente ancora Esposito, una festa di cui poi gli uomini si sono appropriati escludendo “l’altra parte del cielo”, ma... solo per qualche secolo.

Bisogna anche tener presente che, secondo Esposito, sin dall’antichità gli aquilani “nacquero e vissero linguacciuti, criticoni, belligeranti l’uno contro l’altro”. E per confortare questa sua tesi, Esposito ricorda un editto del 1434 del Camerlengo dell’Aquila, il sindaco dell’epoca. Un editto in cui si infliggeva la pena “dell’esilio perpetuo e del taglio della lingua a chi arringasse contra l’indizione delle feste per il Perdono di Celestino”, cioè la Perdonanza.

Va anche detto che la festa di Sant’Agnese veniva celebrata solamente “intra moenia”, cioè all’interno delle mura dell’Aquila, quasi come contraltare alla festa del 17 gennaio di Sant’Antonio Abate, essa sì religiosa pur con qualche aspetto pagano (la benedizione degli animali); una festa, quella di Sant’Antonio, in uso chiaramente solo “extra moenia”, cioè fuori nel mura, nel contado. va segnalato che nei secoli successivi la festa di Sant’Agnese veniva anche inserita negli antichi calendari delle feste consentite in città.

Avvicinandosi ai giorni nostri, nel corso dei secoli, è ancora Esposito che lo segnala, la tradizione venne “tenuta in auge dalle varie corporazioni”: tra esse, aggiungiamo noi, la più... impegnata fu (ma crediamo lo sia ancora) quella dei barbieri, tradizionalmente ritenuti linguacciuti e conoscitori dei fatti degli altri. Pure la nobiltà e la borghesia celebrò la festa di Sant’Agnese anche se, “noblesse oblige” come dicono i francesi, assegnando una sola carica, quella del Priore.

Tutte le altre cariche dai nomi più fantasiosi o altisonanti, come quelle che andremo questa sera ad assegnare, sono perciò di estrazione popolana: e a chi non ne è convinto ricordiamo il... grado di “Mamma deji cazzi dej’atri”. E non so se mi spiego! Chiaramente nei palazzi gentilizi i nobili avevano ben altro menù rispetto a quello del popolo che si riuniva nelle bettole; in tutti i casi menù diversi da quelli attuali, dove impera la lingua salmistrata (tranquilli, stasera non c’è da noi) che all’epoca neanche esisteva e che ancora una cinquantina di anni fa era cibo solo per pochissimi.

Siamo quasi alla fine della storia sull’origine di questa festa, che tanta curiosità desta soprattutto nei forestieri. Va detto che la tradizione più nobile viene perpetuata dalla “Confraternita aquilana dei devoti di Sant’Agnese”, che da 45 anni elegge il Priore avendo già nominato un “segretario a vita”. È bene pure ricordare che da un quindicennio anche le donne, e noi stasera lo vediamo bene, si sono riappropriate della festa.

A testimonianza infine della curiosità che desta questa tradizione della festa di Sant’Agnese dedicata ai pettegoli, lo scorso anno sono state ospiti di Michele Cucuzza nella trasmissione “La vita in diretta” sia l’antica confraternita di cui abbiamo detto che il “Gruppo delle donne Devote delle malelingue”, che per primo ha festeggiato completamente al femminile.

(letto nella Sant'Agnese 2000)

Confraternita Balla che te passa - 1999